Maria Clara Macrì
Being Queer in Istanbul

Prima di partire per Istanbul mi chiedevo costantemente se sarei riuscita a trovare i miei soggetti per strada, come ho sempre fatto. Il dubbio si allargava all’avvicinarsi della data di partenza. Mi immaginavo la difficoltà in così pochi giorni di trovare la comunità queer e tra di loro le persone che avrei voluto fotografare. Soprattutto credevo che a Istanbul per questioni politiche e religiose quello che io volevo indagare fosse un mondo nascosto e difficile da intercettare.
Fortunatamente ero riuscita a contattare Eylem di Casting Killer agency e lei mi aveva proposto una decina di volti, tra i quali avevo già trovato chi mi interessava e questo, a due giorni dal volo, mi aveva rasserenata. Non potevo neanche lontanamente immaginare che Istanbul mi avrebbe risucchiata nel suo vortice di energia e frenesia portandomi esattamente al centro pulsante del mondo che volevo scoprire già dopo poche ore dal mio arrivo. Istanbul, Costantinopoli, Bisanzio finalmente mi accoglieva nel migliore dei modi: facendomi perdere tra le sue strade. Appena atterrata il mio telefono decide di andare in stand by per 24 ore. Per fortuna mi ero scritta su un foglietto la via e il nome del quartiere dove avrei alloggiato e dall’aeroporto alla destinazione navigai come si faceva prima di google map, chiedendo alle persone. Dopo una doccia veloce era già sera e mi ritrovai a ballare da sola in un bar musica anni ottanta.
All’improvviso la sala si riempì di persone, il proprietario fece chiudere le porte e calò un tendone e fu lì che conobbi Merve, la quale in una sola prima notte mi trascinò da quel locale a un altro e a un altro e un altro ancora fino a quando non ne ho perso il conto. Scambiata ripetutamente per turca, etiope, magrebina, curda o sudamericana in poche ore notturne e folli ero già dentro a quello che credevo avrei scoperto nei giorni successivi, grazie alla mia guida, il mio caronte, la mia equivalente ottomana per personalità e follia. Da sola alle cinque del mattino ho attraversato la città seguendo i gatti con il passo veloce che Napoli mi ha insegnato, lo stesso ritmo che occorre in salita e discesa per le strade di Istanbul. Arrivata davanti al portone del mio alloggio al buio e senza chiedere indicazioni mi abbandonai all’idea che ogni cosa che sarebbe successa nei giorni successivi avrebbe superato qualsiasi aspettativa e bruciato ogni programma ed è così che è andata.
Il giorno dopo Ben sdraiato sul divano della casa di sua nonna mi dice che essere queer o gay o qualsiasi altra cosa all’infuori dei binari etero a Istanbul non significa affatto nascondersi, ma avere il coraggio di esserlo, assumersene le responsabilità e ricordarsi costantemente di proteggersi. Sua nonna mi parla in un inglese migliore del mio mentre sorseggiamo il caffè e comprendo dai lampi nei suoi occhi che è felice che suo nipote venga ritratto per quello che è, sento che è lei il porto sicuro e protetto di suo nipote, l’abbraccio, l’accettazione, la forza. Le faccio i complimenti per l’arredamento e lei mi risponde che una donna per circondarsi di ciò che più le piace deve arrivare alla sua indipendenza economica anche a costo di rimanere sola e controcorrente.
Nella casa in cui scattiamo tra le coperte rosse Elif e Sualan mi parlano di quanto la situazione politica attuale sia scollata con la realtà di ogni giorno, mi insegnano i mille modi di mettere un velo, beviamo ancora caffè e la giornata passa in un soffio caldissimo al canto del muezzin. Mi perdo ancora nei giorni che passano tra Balat, nella casa che ho definito gemella della mia per gli arredi e i colori e Beyoglu attraversando il bosforo più volte con il vento in faccia poi la pioggia e ancora il sole, i colori abbaglianti, l’odore del caffè turco, Santa Sofia, passando da festini folli alle moschee. Noto l’intimità tra le donne che si salutano con i sorrisi che mi accolgono come una sorella nei loro negozi e cafè, ci guardiamo con reciproco fascino e comprensione al di là dei veli. Essere queer a Istanbul è stata la mia esperienza e quelle che seguono i flash di quegli otto giorni.

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